Francesca Della Monica
Lo spazio della voce
Quanto conosci la tua voce?
Quanto ti mette a disagio?
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Abbiamo trascorso un giorno con Francesca Della Monica, esperta di vocalità e ricercatrice della voce parlata e cantata. L’incontro con lei ha messo le radici di esplorazione sulla dimensione antropologica della voce, sulla sua funzione rispetto alla storia e allo sviluppo dell’essere umano e sulla sua essenza con e senza interlocutore. Così come una pagina scritta rimane un guscio vuoto senza un lettore, la voce perde la sua dinamica naturale in assenza di chi ascolta. Senza un destinatario, tendiamo a tradirne l’essenza, a incorrere in auto-censura e auto-giudizio, sabotandoci.
L’attenzione si concentra sull’ascolto: spesso sentiamo, ma non ascoltiamo davvero. La bellezza di una voce risiede nella sua verità, nella sua autenticità.

Ma quanto la voce è un fatto emotivo?
Riconosciamo come nostra la voce di quando stiamo bene. Ma quando stiamo male? Anche quella è la nostra voce. Essa si manifesta in molteplici forme, attraversando stati di neutralità ed espressioni di emozioni primarie e secondarie. Il corpo spesso rifiuta ciò che è nuovo, diverso, improvvisato. Per questo, il cambiamento vocale richiede non solo volontà, ma una sollecitazione corporea profonda.
L’emozione è un motore potente che, in ambito drammaturgico, non agisce come nella vita quotidiana: non si limita a essere vissuta, ma viene creata.
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Superare gli automatismi
Muovere la prospettiva vocale al di fuori di schemi noti significa riflettere sugli automatismi. Qual è la crisi vocale che ci smuove? Quale incidente di percorso ci permette di accedere a una maggiore profondità?
Nel percorso di ricerca vocale artistica, spesso abbracciamo estetiche e parametri sociali che ci limitano, allontanandoci dalla nostra essenza. Comprendere e riconquistare la nostra materia vocale – il respiro, il sostegno del suono, la vibrazione – è un passo essenziale. Ma qual è davvero il nostro rapporto con la voce? Quali sono le nostre “pietre d’inciampo”?
Il pensiero razionale, quando si intromette, può disturbare il naturale fluire della voce. Meno il pensiero ha accesso allo schema respiratorio, migliore è la qualità del respiro. L’eccesso di fiato è come un eccesso di volontà: senza un equilibrio tra vocali e consonanti, il suono perde spazialità.
Il corpo, il respiro, la voce
L’emissione vocale nasce dalla vibrazione delle corde vocali. Il diaframma preme sui polmoni, che spingono l’aria verso la glottide. Dopo aver parlato, il diaframma si rilassa, i polmoni si espandono e la parete addominale si distende.
Il respiro non è un’azione volontaria, ma segue il corpo. Il pensiero astratto ci porta avanti nel tempo, ma il corpo agisce nel qui e ora. Quando il pensiero interferisce con l’atto vocale, disturba. La voce si sviluppa per raccontare, per far capire: considerare l’interlocutore non è solo un atto di generosità, ma una necessità tecnica.
Lo spazio della voce
La voce è dominata da molteplici funzioni ed è in continua evoluzione. Per comprenderne i parametri, bisogna esplorare il respiro, il ritmo, la risonanza. La stonatura stessa può diventare una lente di analisi.
Ogni vocale ha una forma e un significato preciso nel nostro corpo. La “I” crea uno spazio piccolo, ha molte formanti acute e richiama l’identità, l’Io. La “E” è una vocale di congiunzione, che unisce l’Io con l’altro. La “A” è apertura totale, accoglienza. La “O” è chiusura, protezione. La “U” crea un diaframma tra interno ed esterno.
Pronunciare le vocali significa disegnare i loro contorni con precisione, come se dovessimo insegnarle a chi non le ha mai conosciute. Non è un gesto quotidiano, ma un atto di consapevolezza.

La voce come gesto
Parlare non è solo dire: è comunicare, insegnare, trasmettere. La voce è tridimensionale, occupa lo spazio e interagisce con esso. Il corpo è testimone di ciò che diciamo: il gesto vocale deve essere offerto, porgendo il messaggio in modo che l’altro voglia ascoltarlo.
Esplorare la vocalità significa rivedere le fondamenta del nostro modo di comunicare. La voce, come la luce, non dovrebbe essere direzionata o puntata, ma diffusa, per creare uno spazio di condivisione e presenza.
A cura di Margot Océane