Seminario Andrea De Rosa
Baccanti - Fedra - a partire da un riadattamento
Il seminario condotto da Andrea De Rosa ha avuto al centro una sua riscrittura e riadattamento del testo delle Baccanti e di Fedra. Il lavoro non è partito da un’analisi intellettuale, ma da una domanda diretta rivolta agli attori: cosa risuona, cosa vibra in questi testi? Che attrazione nasce verso un personaggio, e perché?
Non si è cercata una spiegazione razionale, ma un punto di partenza che venisse da un interesse reale. Il testo è stato trattato come un materiale vivo, da attraversare con l’azione. L’attenzione era rivolta all’inciampo della parola, a ciò che si rompe nel momento in cui viene pronunciata, alla difficoltà che porta con sé e che la rende concreta. L’azione al servizio del testo, in dialogo, mai scollegata, mai decorativa.
Grande importanza è stata data all’inizio: all’attacco, al momento esatto in cui si entra in scena. Come un musicista che ascolta il silenzio prima di suonare, l’attore è chiamato a decidere quando iniziare, con consapevolezza, senza farsi spingere dall’ansia o dall’automatismo. Il rapporto con lo spazio e con lo spettatore diviene passaggio necessario per permettere una comunicazione reale, in una dinamica che può essere anche subalterna.

Lavorando sulle Baccanti, è stato approfondito il ruolo del messaggero e la sua funzione, non solo come portatore di notizie ma come corpo e voce in scena. Il lavoro su Agave ha messo al centro la trasformazione del corpo dopo l’esperienza sul monte: caccia, danza, violenza, e infine il ritorno. Come cambia l’immagine di Agave dal racconto del messaggero al momento in cui mostra la testa di Penteo al padre?
L’imprevedibilità è un tema centrale: della voce, del corpo, del ritmo.
Il suono diventa frammento di una partitura condivisa, in cui ogni attore è parte viva di un organismo collettivo. Si riprende così l’essenza del coro, elemento fondamentale nella tragedia greca, cercando un’intenzione, un gesto, un’emozione precisa — per fuggire dal vago, per sottrarsi alla superficialità.

Come agisce il contrasto tra corpo e parola?
Che forma assume un dolore pronunciato con leggerezza, o un piacere che affiora nella violenza? Come cambierebbe il racconto della morte di Ippolito, se nel monologo del messaggero (nel Fedro) emergesse un velo di felicità, quasi un’eccitazione?
È in questa tensione tra contenuto e stato emotivo del parlante che si apre uno spazio fertile.
Il piacere, il respiro affannoso, la dissoluzione della bellezza nella parola diventano strumenti per indagare una forza erotica che scorre sotto la superficie tragica, nascosta, ma sempre presente.
Andrea de Rosa spinge molto sull’idea di concretezza, a sfavore del vago. La concretezza come qualcosa che supera la materialità, e che crea un rapporto preciso con tutto ciò che è in scena. L’ascolto dell’altro, il peso dato a un gesto, il legame con lo spazio.

A partire dal riadattamento di Andrea De Rosa, ci si è proprio approcciato al testo come qualcosa di labile, non di fisso, bensì come se fosse visto e detto per la prima volta. Ogni parola nasce da una situazione, da un corpo, da un’immagine che prende forma mentre si lavora. Non esiste recitazione letteraria, ma una traduzione scenica che offra appigli concreti. È da lì che parte il lavoro.
A cura di Margot Océane