Seminario Antonio Mingarelli
Le Troiane di Euripide
Il seminario con Antonio Mingarelli, direttore della scuola, regista e attore teatrale, è stato un percorso dentro e oltre la tragedia. Partendo dal fil rouge che ha caratterizzato l’anno accademico, abbiamo esplorato il tema attraverso un’immersione continua, collettiva e stratificata, con Le Troiane di Euripide come punto di partenza. Ogni partecipante ha portato un monologo scelto tra le protagoniste del testo, trasformandolo in materia viva attraverso esplorazioni, confronti, proposte e trasformazioni. Ogni giornata è stata strutturata con un approccio diverso, attraversando la stessa sostanza con occhi nuovi.
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Le Troiane di Euripide, scritto nel 415 a.C., è una tragedia che ruota attorno a ciò che resta dopo la guerra. Non c’è spazio per gli eroi in battaglia, ma per le vittime sopravvissute: le donne troiane, ridotte in schiavitù dopo la caduta di Troia. Il testo denuncia la brutalità dei Greci dal punto di vista delle sconfitte, mettendo chi guarda, chi legge, chi assiste, dalla parte dell’oppressore, costringendolo a sentire il dolore dell’oppresso.

Giorno 1: Anatomia del testo – Ecuba
La prima giornata ha aperto il seminario con il commento e la discussione collettiva del testo. Cos’è questo dolore femminile che Euripide indaga dopo la guerra? Quale condizione vivono i vinti, e quale gli sconfitti? Qual è il ruolo del potere e della violenza rispetto a vendetta, onore, pietà?
La seconda parte della giornata si è concentrata su un solo dei personaggi: Ecuba, figura centrale e dolente delle Troiane.
Chi tra noi aveva scelto di lavorare su Ecuba ha proposto la propria interpretazione nello spazio, offrendo una visione personale del personaggio: come si muove Ecuba nello spazio? Cosa la spinge a dire ciò che dice? Quali sono i contrasti interiori tra parola e pensiero, tra dolore e lucidità? Come esprime Ecuba questo dolore? O, piuttosto, come canta Ecuba questo dolore, distinguendosi dalle altre?
Il testo è stato trattato come materia viva da interrogare, in relazione continua con il corpo e con chi lo attraversa.


Giorno 2: tra il detto e il sentito - il paradosso del tragico
Al secondo giorno si è approfondito il lavoro iniziato sul testo, partendo da una lettura a tavolino interpretata, per esplorare a fondo le parole, il sottotesto, ciò che si cela dietro il detto. Un’indagine che si è spinta oltre il significato letterale, per toccare lo spazio del preverbale, dove l’emozione anticipa la parola e il corpo si fa vettore di senso.
Il paradosso è stato assunto come chiave tragica e comica allo stesso tempo. Come si può evocare la tragedia passando dal ridicolo? Quale potenza ha il contrasto tra il riso e il pianto, tra l’ironia e lo strazio, tra la parola e il corpo che la smentisce?
L’incoerenza dell’essere umano diviene verità scenica: scollare il senso dalle parole, far emergere lo stato d’animo prima che venga formulato, lasciare che il corpo senta qualcosa di diverso da ciò che dice. È lì che può nascere una verità più profonda, meno prevedibile, più teatrale.
Il tragico, se mostrato direttamente, rischia di diventare piatto. Ma se evocato attraverso il contrasto – il pieno e il vuoto, il detto e il taciuto – prende respiro. Come nel teatro greco, dove il fuoricampo, l’o-sceno, è fondamentale: ciò che non si mostra è spesso ciò che pesa di più.


Giorno 3: il tribunale della parola
Il terzo giorno si è decontestualizzato il testo in una situazione di tribunale sotto interrogatorio: quanto conosco il mio personaggio? Che forma prenderebbe/prende in un contesto sotto accusa: il suo corpo, la sua voce, il suo passato, l’oppressione esterna che lo mantiene lì, sotto accusa, con tutto il suo vissuto.
Ognuno ha potuto lavorare sulla propria attitudine, e soprattutto su ciò che ancora non conosce di sé in scena.
​In questa riflessione è racchiusa l'essenza del teatro: il bisogno di essere, non di sembrare; il desiderio di cercare nel buio qualcosa che non c'è e trovarlo.
Giorno 4: Scrivere per agire
E se fossimo attori, ma anche autori e registi del nostro spettacolo?
Il quarto giorno ha aperto uno spazio creativo in cui immaginare e dare forma all’inizio di un’ipotetica creazione teatrale ispirata a Le Troiane, a partire da noi stessi, dal testo e dalla ricerca dei giorni precedenti. Scrittura automatica, immagini interiori, visioni improvvise: da un impulso informale, non razionale, è emerso il primo respiro possibile di una scena.
La consegna era precisa: una pagina in flusso libero sul proprio rapporto con il testo, seguita da una seconda più tecnica, con indicazioni concrete per la messa in scena dei primi quattro minuti.
Quanti attori? In quale spazio? Con quali oggetti, luci, atmosfere? Che tipo di relazione con il pubblico?
Tutto è avvenuto in tempi stretti, per lasciare spazio all’inconscio. Nessun filtro, nessuna elaborazione: seguire il respiro, fluire col pensiero, lasciare che qualcosa prenda forma senza spiegarla.



Giorno 5: la prismaticità di una sola persona
L’ultima giornata è stata un gioco di possibilità: si è lavorato singolarmente sullo stesso personaggio, Elena, portandolo in scena seduti su una sedia, di fronte agli altri, con una propria proposta. Intanto, chi osservava scriveva un pensiero, un consiglio, una visione da restituire all’interprete. A seguire, l’attore riprovava il monologo, integrando lo sguardo esterno, bisbigliato da una sola voce del pubblico.
Cosa cambiava? Cosa funzionava prima e cosa dopo? Cosa non andava?


In Elena è emersa tutta la sua prismaticità: contraddittoria, sfuggente, mai univoca. A differenza di altre figure più monolitiche, lei si frammenta, si riforma, cambia luce in base allo sguardo dell’attore – e al proprio.
Attraverso le proposte individuali, si sono potuti esplorare tempi, spazi, relazioni e contesti diversi. Ogni interpretazione si è rivelata un microcosmo, un universo parallelo dello stesso dolore.

Il seminario ha permesso un’analisi e uno sguardo alla tragedia come campo fertile per il contrasto, la complessità, il non-detto. Il testo può essere un punto di partenza ma mai un punto fermo.
In particolare, un testo come le Troiane, si è esplorato la condizione del dolore, e la gioia nascosta nel canto del dolore, nella felicità come trasformazione del dolore stesso Attraverso il testo, abbiamo evocato la morte come azione viva, lasciando che il corpo parlasse prima della voce, che la scena si riempisse anche dei suoi vuoti.
Il pubblico? Non è da "istruire", ma da coinvolgere nella fiducia.
Il teatro non è spiegazione. È spazio. È respiro. È relazione.
A cura di Margot Océane