Seminario Serena Sinigaglia
L'Orestea - Le Eumenidi di Eschilo e la Funzione del Coro
Coro
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Il termine coro ha radici profonde nel latino chorus e nel greco khorós, che significa ‘danza unita al canto’. Questa unione di danza e canto, che affonda nelle origini delle forme artistiche primordiali, parla al cuore dell’essere umano in modo ancestrale, comunicando attraverso il corpo e la voce. Il coro, con la sua dimensione collettiva, riesce a mantenere l'unità pur celebrando le singolarità degli individui che lo compongono. È questa armoniosa pluralità che si esprime nel teatro antico, dove il culto dionisiaco, attraverso il canto e la danza, diventa la chiave per l'azione drammatica. In questo movimento, ci si muove all’unisono in un caos che si ordina perfettamente, una sintesi che implica attenzione, cura di sé, e una fusione tra il micro- e il macrocosmo, pur mantenendo le rispettive distinzioni.
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Nel seminario condotto da Serena Sinigaglia, ci siamo immersi nella trilogia dell’Orestea di Eschilo, concentrandoci sulle Eumenidi, partendo da un'analisi più profonda, dalla figura di Agamennone, il suo ritorno dalla guerra di Troia, il matricidio di Oreste, e la sua evoluzione nel passaggio dalla vendetta alla giustizia nel processo ad Atene. Ci si è soffermato molto sull'universalità di queste storie che, pur radicate nel mondo antico, rimangono attuali a distanza di quasi 2.500 anni. La vendetta, la giustizia, il destino, e il libero arbitrio sono tematiche che risuonano anche oggi, sollevando riflessioni sul potere, sulla legge e sulla fragilità umana. La rappresentazione delle paure, dei desideri e delle difficoltà nelle scelte dell'individuo rende questi testi eterni, attraversando secoli e culture.

Serena Sinigaglia ci ha parlato, mostrato, evocato il 'suo teatro', come quel luogo dell’umano, in cui si vive un’esperienza condivisa e per certi versi laica. La tragedia greca stessa, pur essendo profondamente intrecciata con la religione e il mito, anticipa una visione laica della giustizia e della società, mescolando elementi politico-razionali con quelli mitologici. Questo aspetto conferisce all'Orestea e alle altre tragedie greche un carattere universale, riflettendo su ciò che costituisce l’equilibrio sociale, il potere, e le dinamiche di guerra. Oreste, in particolare, incarna l'eroe fragile che si ritrova intrappolato in un destino determinato dalla vendetta, una dinamica che ci invita a chiederci quale principio debba governare una società e come il principio maschile, dominato dalla guerra e dalla violenza, influisca sulle scelte umane. Le tragedie greche, ancora oggi, ci pongono domande fondamentali sulla società, sulla giustizia e sul potere: su quale legge può fondarsi l’equilibrio sociale?
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Nel seminario, Serena Sinigaglia ci ha guidato nell'esplorazione della funzione del coro, mettendo in luce il suo ruolo non solo come commentatore esterno, ma come vero e proprio personaggio collettivo che partecipa attivamente alla narrazione. La voce del corifeo diventa il cuore pulsante di un racconto che coinvolge il pubblico come spettatore partecipe di un’esperienza collettiva. Il coro agisce così in un triangolo dinamico con l’attore e lo spettatore, si fa mediatore tra i personaggi e il pubblico, mentre il suo corpo si muove all'unisono, creando una continua tensione tra l'individualità e la collettività. Lo spazio scenico diventa un “luogo corale”, dove ogni movimento e parola contribuiscono a ricreare e riplasmare la scena, come in un disegno metafisico. Ogni membro del coro, pur rimanendo individuo, è parte di un movimento collettivo che cerca di esprimere una verità universale.

Il corpo del coro non è mai neutrale. Come ponte tra gli dèi, gli eroi, e il pubblico, il coro nelle tragedie greche rompe la tensione con riflessioni e canti. Nelle Eumenidi, in particolare, il coro delle Erinni si fa protagonista, incarnando la trasformazione della vendetta primitiva in giustizia. Questa transizione diventa uno degli elementi più forti e significativi della tragedia, simboleggiando la possibilità di evoluzione della società attraverso il cambiamento del concetto di giustizia.
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Ci si interroga anche su cosa differenzia il coro dalla massa. La massa, molto presente nella nostra società, è un insieme di individui che, messi insieme, consapevolmente o inconsapevolmente, per necessità o per volontà, si conformano con il gruppo, perdendo la loro individualità. Al contrario, il coro, pur essendo collettivo, esprime una verità che non è mai assoluta ma è continuamente interrogata e messa in discussione. Il teatro, attraverso il coro, si oppone a quella visione individualista e verticale che caratterizza la società, che vuole spesso certezza, un colore netto, una risposta a ogni domanda. Egli evoca una realtà che non è un dato assoluto né immutabile, invitando alla riflessione, a differenza dell'arte della fotografia, padre del cinema e della televisione, che invece sono forme che mostrano la realtà come se fosse assoluta, portando all'illusione.

Partendo dalla lettura del testo – interpretata, indagata, analizzata nella sua essenza, dialogata e messa in discussione – sin dal primo giorno ognuno di noi ha portato un monologo di un personaggio e un coro a scelta dalla terza parte dell’opera: Le Eumenidi. Da lì, giorno dopo giorno, attraverso lavori di movimento nello spazio, si è cercato un dialogo non verbale fatto di ascolto e condivisione, all’interno di un gruppo che potesse diventare sempre più “coro”, lontano da ogni dimensione di massa, con la consapevolezza rivolta tanto all’interno quanto all’esterno: al pubblico, all’osservatore, a chi ascolta e assiste.
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L’attenzione al terzo – l’altro da sé – attiva la cura del proprio corpo, del dialogo con l’altro e della base stessa della comunicazione: perché si comunica con l’altro? Perché il teatro come forma di comunicazione?
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Da qui si è aperta l’esplorazione del teatro come forma di espressione e comunicazione: qual è l’esigenza che muove la nostra curiosità, la nostra motivazione, il nostro bisogno di esprimerci? Quanta volontà di espressione personale risiede in questa esigenza, e quanta volontà di comunicazione con l’altro?
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Attraverso la guida di Serena Sinigaglia, abbiamo riflettuto su questa tensione, su quel fuoco che anima il teatro come forma d’arte espressiva e mezzo di comunicazione. Un percorso che ci ha portati a passare da una dimensione dionisiaca, quella di un impulso informe, a una dimensione apollinea, quella di una forma universale che abbraccia e smuove anche l’altro: colui che guarda, ascolta e si sente attraversato dalla rappresentazione.
Quella spinta confusa, quel moto interiore non ancora direzionato, privo di struttura, trova così – attraverso l’analisi e la ricerca – una forma definita, un’azione consapevole e strutturata. La rappresentazione a cui assiste il pubblico ritrova, di conseguenza, il significato stesso del termine repraesentare (dal latino re-, “di nuovo”, “indietro”, e praesentare, “rendere presente”): come qualcosa che dà forma, che traduce l’impulso in un’immagine, un gesto, una parola, un’azione. Qualcosa che può essere comunicato, visto, riconosciuto.
L'etica del teatro e il dialogo tra attore, pubblico e personaggio sono centrali in questa riflessione. Come nel rapporto tra attore e spettatore, in cui il pubblico partecipa attivamente alla creazione della realtà teatrale, anche nella società ogni individuo contribuisce alla costruzione della collettività. La verità evocata dal teatro non è mai definitiva, ma è il risultato di una continua ricerca e di un dialogo tra ciò che è visibile e ciò che è nascosto.
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Nel mondo contemporaneo, dove le parole sono sempre più cariche di significato, il teatro ci insegna che non basta pronunciarle, ma occorre ascoltarle e ponderarle, come se fossero il marmo che Michelangelo scolpiva, liberando la bellezza che già esisteva in esso. Così, come l'artista trova nella sua arte una necessità interiore, il coro incarna il dialogo tra l’individualità e la collettività, tra l’azione e la riflessione. E in questo, il teatro rimane una delle forme più potenti di esplorazione della condizione umana, proprio come ci ha insegnato Serena Sinigaglia durante questo seminario.
A cura di Margot Océane